dictaftafio. Muovo per l'erta cofta i passi miei'; Ma la turia crudel mi fu d'intorno, Tal chè reftarne oppreffo io mi credei. Altri ride sbuffando, e mi fa scorno, Altri mi spinge acerbamente indietro, E vuol, ch'al basso fuol faccia ritorno. Altri con urli in fpaventoso metro L'orecchio offende, e fa incarcar le ciglia, O m'appesta col fiato infausto, e tetro. Nè pria rimuove la livida faccia, Che la bocca, e la man non fia vermiglie. Altri, ch' altro non puote, i piè m'abbraccia E se non giunge a darmi maggior duolo, Il lembo almen delle mie vesti ftraccia. Io fra la rabbia del maligno stuolo, Contro di me senza ragione irato, Che far poteva abbandonato, e folo? Già sono di sudor molle, e bagnato, Già mi palpita il core, anela il petto, Laceri ho i panni, e languinoso il lato. Già l'ardente desio cede al difetto Del mio poter; ma venne a darmi aita Del buon maestro il venerato aspetto Riconosco la guancia scolorita Dal lungo studio, e'l magistrale impero, Che l'ampia fronte gli adornava in vita. A me rivolse il ciglio suo severo, Da cui pur dianzi io regolar folea Delle mie labbra i moti, e del pensiero. E in mezzo a quella turba invida, e rea Discese alquanto, e la sua man mi porse; Deh sorgi, o figlio, e non temer dicea. Alla voce, alla vista un gel mi scorse Dal capo al piè le più riposte vene, Tal chè Bion del mio timor s' accorse, E turbato soggiunse; ah non conviene Così di tema vil pingere il volto, Se la mia man ti guida, e ti sostiene. Quel gel, ch' intorno al core era raccolto, Metastasio. Poi chè scaldò vergogna i fensi miei, Venne fu gli occhi in lagrime disciolto: Se, poi chè mi lasciarti in abbandono, Sostegno, e guida, ahi laso! in te perdei; E se quanto conosco, e quanto io fono, Fuor chè la prima rozza informe spoglia, Di tua man, đi tua mente è tutto dono; L'acerbo affanno, e in lagrime diffuso Efca a far fede dell'interna doglia. Del gnto cor, ma quest' imbelle pianto Deh serba, o figlio, pur, serba ad altri ufo. E se degno efler vuoi di starmi accanto, Giustamente adornar tue membra cerca Di quel, ch' io cingo, luminofo ammanto. Quello è il iempio di gloria, che ricerca Ogni alma, e non rinviene; e a quella fede Col sangue folo, e col sudor fi merca. Ma fappi pria, che 'l fenno, ed il valore Della soglia felice in guardia fiede. Che col senno, e coll'opre un dì poteo Render d'invidia il nome suo maggiore. I nomi di color, per cui si rele Specchio del Frigio incendio il Autto Egeo. Ivi è colui, ch' alto cantò l'imprese Del Trojano, e da cui sua nobil arte I fortunato agricoltore apprese. Qualunque lunga età da voi divide, Che Latine vergasse, o Greche carte. Scorrer la Grecia prima, e pianger poi Per invidia lul ceuer di Pelide. Che fece il tronco capo al Re Persiano Mietastasio. Ivi è il feroce condottier Tebano, Che ruppe nella Leutrica campagna L'audace corso del furor Spartano. Vinse Annibal, per cui paventa ancora Roma il terror di Canne, e ne lagna. Cefar, Marcello, Fabio ivi dimora, E mille, e mille, che narrare appieno Di brieve ragionare opra non fora. Tu intanto, s' entro te non venne meno Il bel desìo d'onor, questa fedele Norma, ch' io ti prescrivo, accogli in feno, Guarda, che per fuggir l'onda crudele Non urti i scogli, ed al propizio vento Libere non lasciar tutte le vele. Componga un misto, che prudenza sia, E seco ti consiglia ogni momento. Dell' onesto, e del ver quello, ch' io pria Seme in te sparsi, serba, e scorgerai, Quai feliçi germogli un giorno dia. Di tutto quello, che comprendi, e fai, Pompa non far, che un bel tacer talvolta Ogni dotto parlar vince d'affai. Muto de' faggi il ragionare ascolta, Nè molto ti doler, s' unqua ti fura Dovuto premio ignara turba, e stolta. Noto prima a te stesso effer proccura. Preceda ogni opra tua laggio consiglio, E poi lascia del resto al Ciel la cura. Diss' egli; e mentre a replicare io piglio, Sen fugge il sogno, e nel medesmo istante Umido aperfi, e sbigottito il ciglio, E dalte piume al suol poste le piante, Vidi del di la face omai vicina, Che la campagna del canuto amante Rosseggiava fu l'Indica Marina. J.B. J. B. Rousseau. 7.3. Xour seau. (Man muß diesen frihern franzsfischen Dichter, Jean Baptiste Housseau, der von 1671 bis 1741 lebte, und sich in der lyrischen Gattung vorzüglich berühmt machte, von dem noch berühmtern Genfer Bürger, Jean Jaques Hours reau, unterscheiden. Unter des ersteru Gedichten findet man zwei Bücher Ullegorien; und er war der erste französische Dichter, der diese Gattung bearbeitete, nicht zwar mit große fem Aufwand von Einbildungskraft, aber doch in einer ange: nehmen leichten Manier, und nicht ohrie manche glückliche Versinnlichung feiner moralischer Wahrheiten. Die Auf schrift des folgenden Stůcks, Hororophie, bedeutet fo viel, als, thórichte Weisheit; und Rousseau versteht darunter die falsche, übertriebne Wißbegier, oder den Vorwitz.) LA MOROSOPHIE. A contempler le monde et ses richesses. Tous 3. B. Xour A feau. Tous les prélens dont l'Olympe s' honore, Avant que l'air, les eaux et la lumière, |