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Guarini. Ciò che fa vaga, o queta

Nè fuoi torbidi affeti humana voglia,

E

par che doni, e toglia

Fortuna; e'l mondo vuol ch'a lei f'afcriva,

Da l'alto tuo valor tutto deriva.

O detto inevitabile, e verace;

Se pur è tuo concetto,

Che dopo tanti affanni un di ripofi
L'Arcada Terra, ed habbia vita, e pace;
Se quel, che n'hai predetto

Per bocca de gli oracoli famofi
De' due fatali fpofi,

Pur da te viene, e'n quello eterno abisso
L'hai ftabilito, e fiffo;

E le la voce lor non e bugiarda,

Deh chi l'effetto al voler tuo ritarda?

Ecco d'Amore, e di pietà nemico

Garzon afpro, e crudele,

Che vien dal cielo, e pur col ciel contende:
Ecco poi chi combatte un cor pudico,

Amante in van fedele,

Che'l tuo voler con le fue fiamme offende;

E quanto meno attende

Pietà del pianto, e del fervir mercede,

Tant' ha piu foco, e fede;

હૈ

Ed è pur quella a lui fatal bellezza,

Ch'e deftinata a chi la fugge e fprezza.

Così dunque in fe stessa è pur divifa

Quell eterna possanza?

E cofi l'un deftin con l'altro gioftra?
Oh non ben forse ancor doma, e conquifa
Folle humana speranza

Di porre affedio a la fuperna chioftra!
Rubella al ciel fi mostra,

Ed arma quafi quovi empi giganti,
Amanti e non Amanti?

Qui fi puo tanto? e di ftellato Regno
Trionferan duo ciechi, Amore, e fdegno

Ma tu che stai sovra le ftelle, e'l fato,

E con faver divino

Indi ne reggi alto Motor del cielo,
Mira, ti prego il noftro dubbio ftato;
Accorda co'l deftino

Amor, e fdegno; e con paterno zelo
Tempra la fiamma e'l gelo:

Chi de' goder non fugga, e non disami:
Chi de' fuggir non ami.

Deh fa che l'empia, e cieca voglia altrui
La promeffa pietà non tolga a nui.

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Guarint.

Sannazaro..

San na zaro.

1

(Auch in seinen italiänischen Schäfergedichten, die er unter der Aufschrift L'Arcadia, mit Prose untermischt, herausgab, finden sich überall Spuren davon, daß Virgil sein Muster war. Ueberhaupt haben die italiånischen Dichter in dieser Gattung, von Seiten der Erfindung, wenig eignes Verdienst.)

MONTANO. URANIO.

M. Itene all'ombra degli ameni faggi,
Pafciuta pecorelle, omai che'l fole

Su 'l mezzo giorno indrizza i caldi raggi:
Ivi udirete l'alte mie parole

Lodar gli occhi fereni, e trecce biondet
Le mani, e le bellezze al mondo fole.
Mentr' il mio canto e'l mormorar dell' onde
S'accorderanno, e voi di passo in passo
Ite pafcendo fiori, erbette è fronde.

Io veggio un' uom, fe non e fterpo o faffo:
Egli è pur uom, che dorme in quella valle
Diftefo in terra faticofo e laffo.

Ai panni alla ftatura ed alle spalle,

Ed a quel can, che è bianco, e par che fia
Uranio, fe'l giudizio mio non falle.
Egli e Uranio il qual tanta armonia

Ha nella lira ed un dir fi leggiadro
Che ben f'agguaglia alla fampogna mia.
Fuggite il ladro o pecore e paftori
Ch'egli è di fuori il lupo pien d'inganni,
E mille danni fa per le centrade

Qui fon due ftrade, or via veloci, e pronti
Cacciate il ladro, il qual fempre s' appiatta
Sa questa fratta, e'n quella, e mai non dorme
Seguendo l'orme delli greggi noftri.
Neffun fi moftri paventofo al bofco
Ch'io ben conofco i lupi: andiamo, andiamo

Che

Che f'un fol ramo mi trarrò da presso
Nel far lo fpeffo ritornar addietro.
Chi fia, f'impetro dalle mie venture
Ch' oggi fecure vi conduca al varco,
Più di me scarco? o pecorelle ardite
Andate unite al voftro ufato modo;
Che fe'l ver odo, il lupo è qui vicino,
Ch'efto mattino udi romori strani:
Ite miei cani, ite Melampo ed Adro,
Cacciate il ladro con audaci gridi.
Neffun fi fidi nell' aftute infidie

De falfi lupi, che gli armenti furano,
E ciò n'avviene per le nostre invidie.
Alcun faggi paftor le mandre murano

Sannazard.

Con alti legni e tutte le circondano;
Che nel latrar de' can non f'afficurano.
Così per ben guardar fempre n'abbondano
In latte e'n lane e d'ogni tempo aumentano,
Quando i boschi fon verdi, e quando sfrondano.
Ne mai per neve il marzo fi fgomentano,
Ne per don capra perche fuor la lafcino;
Così par che li fati al ben confentano.
A i loro agnelli già non nuoce il fafcino:
O che fian erbe o incanti che poffedano,
E i noftri col fiatar par che f'ambascino.
Ai greggi di coftor lupi non predano,
Forfe temon de' ricchi: or che vol dire
Ch'a noftre mandre per ufanzà ledano.
Già femo giunti al luogo, ove il defire
Par che mi prone e tire,

Per dar principio agli amorofi lai:
Uranio, non dormir: deftati omai,
Miler acche ti ftai?

Così né meni il di come la notte?

U. Montano i'mi dormiva in quelle grotte,
E'n fù la mezza notte

Quefti can mi deftar bajando al lupo;
Ond'io, gridando al lupo al lupo al lupo,
Paftor correte al lupo,

Più non dormii, per fin che vidi il giorno;

Sannazaro..

M.

U.

F'l gregge numerai di corno in corno:
Indi fotto queft'orno

Mi vinfe il fonno, ond'or tu m'hai ritratto.
Vuoi cantar meco? Or incomincia affatto.
Io canterò con patto

Di risponder a quel che dir ti fento.

M. Or qual canterò io; che n' ho bén cento?
Quella del fier tormento?

O quella, che comincia: alma mia bella:
Dirò quell' altra forfe: ahi cruda ftella?

U. Deh per mio amor di quella,

Ch' a mezzo di l'altr'ieri cantafti in villa.
M. Per pianto la mia carne fi diftilla,
Siccome al fol la neve,

O come al vento fi disfà la nebbia,
Ne fo che far mi debbia:

Or penfate al mio mal qual effer deve.
U. Or penfate al mio mal qual effer deve;
Che, come cera al foco,

O come foco in aqua mi disfaccio;
Ne cerco ufcir dal laccio,

Si m'è dolce il tormento, e'l pianger gioco:
M. Si m'è dolce il tormento e'l piarger gioco,
Ch'io canto fuono e ballo,

E cantando e ballando al fuon languifco,
E feguo un bafilisco:

Così vuol mia ventura ovver mio fallo.
Ú. Così vuol mia ventura ovver mio fallo,
Che vo fempre cogliendo

Di piaggia in piaggia fiori, e freschi erbette
Trecciando ghirlandette,

E cerco un tigre umiliar piangendo.

M. Fillida mia più che i liguftri bianca
Più vermiglia che'l prato a mezzo aprile
Più fugace che cerva;

Ed a me più proterva,

Ch'a ban non fu colei che vinta e stancá
Divenne canna tremula e fottile:

Per guider don delle gravofe fome
Deh fpargi al vento le dorate chiome.

U.

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