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Filicaja.

Filicaja.

Ungemein viel edle Empfindung, Natur und Wohlklang charakterisirt die lyrischen Poesieen des Vincenzo da Filicas ja, eines sehr schäßbaren florentinischen Dichters, geb. 1642, geft. 1707. Der größte Theil seiner Oden gehört in die beis den ersten Klassen, der geistlichen und heroischen; ich habe indeß mit Fleiß es bis hicher verfpart, eine Probe aus ihnr mitzutheilen, um die folgende wählen zu können, in der sø viel våterliche Wärme und zärtliche Besorgniß redet. In dieser Hinsicht wird man ihr leicht den oft etwas zu didaktis schen Ton verzeihen können.

IL TESTAMENTO AI FIGLIUOLI

CANZONE.

دت

Figli, le di mia Mente

I.

Figli non fiete, udir di Padre il nome
Sdegno, e dal dritto degli affetti efente
Rendo a Natura i doni fuoi. Mà pria,

Ch' io 'l faccia, e imbianchi le attempate chiome
Stagion più fredda, e ria,

E pria, che in voi la giovenile ardente
Baldanza il fren ricufe,

In femplice parlar liberi fenfi

Convien che a voi dispensi.

E fe fian difadorne, afpre, e confufe
Mie voci, amor mi scuse,

Amor, che nel penfiero a me ragiona,
E in rozzi accenti a favellar mi fprona.

II.

Teneri, e in latte furo

Voftr'ingegni fin qui: ne ancor l'incolta

A45

Ver

Filicaja.

Vergine terra della mente il duro
Vomer fentio di verità Maeftra;
Ma il fentirà, fe'l mio parlar s' afcolta.
Saggio, chi a far f'addestra

Contra fe di fe fteffo argine, e muro
Signor di fe. Voi fiete

A voi nemici, o Figli, e a voi nemica
E quefta Madre antica,

Fiera Madre; e quel fol, ch' ora premete,
E l'aere che bevete,

Sono aperte officine, ove in piu modi
Mille l'Uom contro l'Uom fabbrica frodi.

Ne foffriro, che deggia

III.

Tener voi fempre alta ignoranza involti;
Che ignoranza è rea cofa, e più danneggia
In Uom gentil, che in un del volgo, in questo
Fa rider pochi, e in quel fa pianger molti.
Fè giura il Mondo, e prefto

Rompe fè; ma chi'l crede ancor che'l veggia?
Cangia l'Empio in Natura

Del tradir l'empia ufanza, e fama, e onori,
E pompe, ed oftri, ed ori,

Mentre da lunge in bel color figura,

Con infedel pittura

Un bel mifto di frodi orna, e compone,

E perchè inganni, al non fuo lume il pone.

IV.

E dice: io fon che in preda

Offro me fteffo a chi mi adora; io fono,
Che bear poffo, e quanto poffo il veda
Più d'un, del cui gran fafto Idol già fui.
Così favella: e de' fuoi detti al fuono

Chi mai farà, che lui

Non qual' egli è, ma qual fi fa non creda?
Al Ligure Nocchiero

Gran

Filicaja.

Gran Continente, contra'l ver, già parve

Quella, che pria gli apparve

Ifola ingannatrice: e contro'l vero

Che l'uman pensiero,

Ch'ampio, e infinito il ben fia della Terra,
Cui breve spazio, e circonfcrive, e serra.

Ed oh raffini omai

V.

Più adulta etate in yoi prudenza, e fenno
E fenza velo della mente i rai
Rifplendan sì, che ne gli altrui perigli
Tal' ei v'appaia un dì, qual'io l'accenno,
F come invelchi, e pigli

Veggiate, e quanti di fuperbia, e quai
Vapor, che un vento sface,

Alzi: veggiate, com'ei fugge, e paffa,
E tal veftigio lassa,

Qual full' alto Ocean prora fugace,
E com'è poi fallace,

E fearfo, e vano, e quanti affanni, e quanti
Cofta ogni fuo favor delitti, e pianti.

Vedrete allor, vedrete

VI.

Difperate speranze a lui dintorno,
El glorie infami, ed allegrie non liete,
Scheletri di potenza, e fconci aborti
Di gran fortune, e pentimento, e scorno,
E danni, e infidie, e torti,

E fplendidi naufragi; e poi direte:

Chi è coftui, che tutto

Offre, e nulla poi dà? Chi è coftui,

Che d'ombra i fervi fui

Pafce, e di fronde in fuol bugiardo, e asciutto

Abbonda, e fcarfo ha il frutto,

Che odia più chi più l'alma, e nel foggetto.
Stuolo ama fol degli odj fuoi l'effetto?

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Coftui chi è, che conta

Più furti affai, che doni, e di cui nuoce

Più 'l don, che'l furto, e più 'l favor, che l'onta?
Coftui, che regna, e nel cui regno è merto
L'ignoranza, e'l ben pigro, e'l mal veloce,
E'l falir dubbio, e certo

Il precipizio? La perfetta impronta
Dov'è, dov'è, che in effo

Stampò 'l gran Fabro? Oh perfido, e deforme
Genio dell'uom! difforme

Tu il Mondo fefti, ond'ei non par più deffo,
Gran duolo il Fabro istesso

Già punfe, e duolo il punge or più profondo
D'aver l'Uom fatto, che ha disfatto il Mondo,

Così direte allora,

VIII.

Figli, e in paffando per le umane ambafce,
Tra fconforti, e piacer, vedrete ognora,
Che come bagna sì, man non disseta

Salfo umor; così 'l Mondo empie, e non pafce,

Ne, fe crudel Pianeta

Non mai v'appresti ripofata un'ora;

Ne, fe implacabil Sorte

Faccia di voi quel, che di me fe fempre,

Vil doglia il cor vi ftempre.

Rende il Verno le piante egre, e sì fmorte

Di fuor, che fembran morte;

Ma il gelo ifteffo, che le uccide, in loro
Forma occulto di vita alto lavoro,

E sì di pomi han grave

IX.

Pot ciafcun ramo, che del caro pefo

Pajon

Pajon quafi pregar, che altri le fgrave,
Così, fe ingiura d'indifcreto Verne
Quelle, onde 'l verde Tronco era difefo,
De' voltri rami a fcherno,

Foglie vi toglia, e'l fuo furor più aggrave,
Forfe averra, che nuova

Mirabil trama in voi di frondi, e fiori
L'afpro Deftin lavori,

Che qual fe fteffo il fuol varia, e rinnova

Con portentofa prova

Tal come 'l Male, il Ben muore, e rinasce

Che altro il Mal poi non è, che un Bene in fafce.

X.

Pur fe è Deftin, che ignuda

Voftra umil Pianta le fallite cime

Moftri, e lei fempre il paffeggier deluda;
Vinca, vinca il Deftino. In voi faranno

Le glorie del foffrir vie più fublime
La dignità del danno.

E della forte più rabbiofa, e cruda
Tra le più ree tempefte

Vera invitta umiltà de' fuoi difpregi
Fia, che f'adorni, e fregi;

Onde affetti non frali Amor celefte

In voi trapianti, e defte,

E quella Fè produca, e quel defio,

Che in Dio fi ferma, e Dio fol chiede a Dio.

Figli, all' eftremo paffo

XI.

Già già m'accofto; e non leggier mi punge
Cura di voi, di me: di me, che paffo,
Di voi, ch' io lafcio. Un amorofo ftrido

Or'

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