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Remigio Stor Tu pur n'avefti due, rendine due!

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rentino.

Perchè non fiamo a la partita infieme,
Si come infieme a la venuta fummo?
Dove è gita di me, perfido, ingrato, n
E crudo letticiuol, la miglior parte?

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Che debb' io far? dove n'andrò si fola?
L'ifola è grande, e non fi fcorge in lei
Umani alberghi, o lavorati campi,
E d'ogn' intorno ne circondan l'onde,
Ne ci è nocchiero alcun, ne legno veggio
Che folchi il mar per sì dubbiofe vie:
Mà prefuppongo ancor, che i venti amici
Aveffi al mio viaggio, e l'onde in pace,
Spalmata nave, e compagnia fidata,
Dove volger mi deggio? oimè, che gire.
A la mia patria, la mia patria niega:
E ben che 'l mar mi fia tranquillo, e i venti
Mi fien fecondi, io nondimen mai fempre
Sarò sbandita, non mi lice (ahi lassa)
Il veder più la poco amata Creta,
Che di cento città fen va fuperba,
E dove prese il fommo Giove il latte:
Perche'l mio padre, e la mia patria, dove
Il giufto padre mio lo fcettro tiene,
Per mio fallire ho violata, e fono
Stati traditi i duoi sì cari nomi;
Ed allor gli tradii, quando io ti diedi
Le fila, che ti fur fidata duce,

Ch' entro a sì cieco e perigliofo loco
Tu vincitor non rimanessi vinto,
Ne vi lafciaffi e la vittoria, è l'alma;
Allor, che tu crudel dicevi: io giuro
Per gli fteffi perigli, a cui mi deggio
In breve offrir, che mentre ambi faremo
In vita, tu farai mai fempre mia.
Ecco, che noi fiam vivi, e non fon tua,
O Teleo crudo, fe però fi deve
Chiamar viva colei, che morta giace
Da l'empio inganno del marito infido;

Piaceffi al ciel, che con l'iftessa mazza,
Che tu togliefti al mio fratel la vita,
Tolta l'aveffi a me dolente ancora,
Chè quella fè, che tu m'avevi data,
Saria morta per morte, ed un fepolcro
Avria chiufa la fè, le membra, e'l foco!
Oimè, ch' adeffo e' mi fovvien quel ch' io

Deggio foffrir, e non pur questo folo,

Mà ciò, che può patir negletta donna;

,,

Già mille forme entro al mio petto (ahi laffa)
Di morte accolgo, ed è minor tormento
De la dimora del morir, la morte.

Già mi par di veder or quinci, or quindi,
Lupi venir, che con l'ingordo dente
Straccin le membra mie; e quefta terra,
Chi ne l'accerta? oime forle produce
Crudi leoni, ed arrabiate tigri,

E de l'onde efcon fuor marine belve,
Quant' alcun dice; ma chi vieta; ch' io
Non fia dal ferro di qualch' uno strano
Acerbamente e trapaffata e morta?
Ma quefto il fin faria di molti affanni,
Ed ogni morte fofterrei, pur ch' io
Non fia da qualchedun condotta schiava
D'afpre catene amaramente cinta,
Che trar mi faccia qual negletta ferva
Lo ftame vil da la conocchia grave,
Che del gran Minos fon pur figlia, e fono
De la figlia del Sol dal ventre ufcita:
E quel, che più ne la memoria tengo,
É ftimo più, ti fon pur ftata spofa,
E s'ho veduto l'onde, e i lunghi lidi,
E da' lidi, e da l'onde, infulti aspetto:
Sol mi reftava il ciel, ma temo l'ire
De le ftelle crudeli, e fon qui fola
Reftata cibo a l'affamate fiere:

E le qui dentro pur qualch' uomo alloggia,
Io non mi fido, ch' una volta offefa
Col proprio esempio e con l'ifteffo danno
Ho'mparato a temer gli uomini strani.

◊ vo

Remigio Fios rentins.

Remigio Fior rentnio.

O voleffelo il ciel, ch' Androgeo morto
Unqua non fuffe, che tu trifta Atene
Non avresti già mai pagato il fio

(Con la morte de' tuoi) de la fua morte,
E tolto non avrefti, o Tefeo crudo,
Col nodofo troncon l'alma al mio frate:
Ne le fila t'avrei date per duci,
Cui raggirando a le tue mani intorno
Ti ritornaffer drittamente al varco;
Ma non mi meraviglio omai, che tua
Foffe l'alta vittoria, e che la belva
Biforme per tua man restasse morta,
Chè ben che'l petto non copriffi d'arme,
Non ti poteva trapaffare il core
Col duro corno, e vi portafti teco
I duri faffi, e l'adamante, e'l ferro,
E durezza maggior, perch'al tuo petto
Il ferro cede, e l'adamante, e'l faffo.

Ahi fonno, ahi fonno trifto, ahi fonno crudo,
Perche mi fefti (oimè) cotanto pigra?
Ma io dormir doveva una fol notte,
Che foffe ftata a' dolent' occhi eterna:
O crudi venti, che sì pronti e levi,
E sì veloci ne' miei danni fufte;
Ahi cruda man, ch' al mio fratello ai tolto
La vita, or me sì crudamente uccidi;
Fede crudel, che col tuo nome vano
Ingannafti colei che poco accorta
E troppo amante ti fi diede in preda.
Contra me dunque an congiurato infieme
La Fede, il Sonno, e'l Vento, e da tre Dii
Stata tradita fon donzella inerme,

Cieca, perduta, innamorata, e fola.

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Adunque io non vedrò ne la mia morte

Di mia madre pietofa i pianti pii,
E non avrò chi con pieta mi chiuda
Le luci mie ne la mia trifte fine?

E lo fpirto infelice errando andraffi

Per

Per l'aure peregrine, e i membri morti
(Lafla) non fien da qualche amica mano
Amicamente imbalfamati ed unti:
Anzi i marini augei volando andranno
Sopra l'offa infepulte, e quefto fieno
Le meritate mie funeree pompe!
Ma quando arriverai co' legni in porto,
E per mercè de' merti tuoi farai,
Da la tua patria caramente accolto,
Quando fregiato di corone e palme
Tra 'tuoi compagni te n'andrai fuperbo,
E narrerai con qual valor togliefti
Al Minotauro Palma, e come ufcifti
Sicuro fuor de le dubbiofe vie,

Racconta ancor, come in ful lido fola
Tu m'ai lafciata, e m'ai tradita, ch' io
Effer non deggio a le tue glorie tolta.

Crudel, tu non fei gia mai d'Egeo nato,
Ne d'Etra ancor, mà fuor de? faffi ufcifti,
E del rabbiofo mar, qualor più freme:
O faceffer gli Dei, ch' aveffi scorto
Da l'alta nave me dogliofa e mesta,
Che la dolente imago avrebbe mosso
Gli occhi tuoi crudi a lagrimar mia forte:
Ma guarda almen con pietosa mente
Come io mi fto qui fconfolata, e fola,
Quafi uno scoglio, fopra un fcoglio affifa,
Dove percuotan le vaghe onde; e guarda
Le fparfe chiome, e la bagnata gonna
Da le lagrime mie gia fatta grave,
Come da larga e rovinola pioggia.
Guarda, deh guarda ancor, come il mio corpo
Non altrimenti, che percoffe biade
Dal rabbiofo Aquilon, fi batte e trema,
E come poi con la tremante mano
Quefta carta ho vergata, il chè ti moftra.
L'ordin mal dritto de miei trifti verfi.
Io non ti vo' pregar per alcun merto,
Poi che'l maggior m' è così mal fucceffo:

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rentino.

Remigio Fio: Ma s'al mio merto guiderdone alcuno
Non fi convien, non fi convien la pena,
E s'io non fui cagion de la tua vita,
Non ai empio cagione ond' effer deggia
Trifta cagion de la mia trifta morte.

Ecco, che queste man gia ftanche, e lasse
Di battermi infelice, oltra il
gran mare
Umilemente, o Tefeo mio, ti porgo,
E mesta in volto ti dimoftro questi
Capei negletti, ch' avanzati fono
A' fieri oltraggi del mio duol immenso :
E fe poffo pregar, ti prego (ahi laffa)
Per l'onde calde, che da gli occhi fore
Mi traggon l'opre tue crudeli ed empie,
Che tu ritorni, e col mutato vento

Volga la nave: eh torna, eh torna, o Tesco,
Chè s'io prima mi morrò, pietoso almeno
Ne porterai l'infelici offa teco.

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