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SONETTO.

EUFRATE, Gange, e dell' Aurora i regni

Ergono al ciel macomettani altari,

E d'Oriente e della Libia i mari,

Chiamansi servi d'Ottomano ai legni:

Geme la Grecia, e mille strazi indegni
Vien che soffrir tra Musulmani impari,
E san sfogar crudi ladroni avari
Sovra ogni nostra piaggia odj e desdegnj.
Or quanda l'aste su' destrier ferrati
Abbasseransi? e per la Fe sciorrete
Quando l'insegne, o Christiani armati?

Allor che schiavi con sudor trarrete
Un remo? Ite codardi, ite malnati,
Gittate i brandi che sì mal cingete.

CHIABRERA.

BEATRICE.

NEGLI occhi porta la mia Donna Amore; Perchè si fa gentil ciocch' ella mira:

Ov' ella passa, ogni uom ver lei si gira;

E cui saluta, fa tremar lo core,

Sicchè bassando 'l viso tutto smuore,

Ed ogni suo difetto allor sospira;
Fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Ajutame, doune, a far le onoro!

Ogni dolcezza, ogui pensiero umile
Nasce nel core a chi parlar la sente;

Onde è laudato chi prima la vide.

Quel ch'ella par, quando un poco sorride No si può dicer, nè tener a mente;

Si è nuovo miracolo e gentile.

DANTE.

SOPRA LA CITTÀ DI VENEZIA.

QUESTI palazzi e queste logge, or colte
D'ostro, di marmo, e di figure elette;

Fur poche e basse case insieme accolte,
Diserti lidi, e povere isolette.

Ma genti ardite, d'ogni vizio sciolte,
Premeano il mar con picchiole barchette;
Che qui, non per domar provincie molte,

Ma fuggir servitù, s'eran ristrette.

Non era ambizion ne' petti loro:
Ma'l mentire aborrian puì che la morte;

No vi regnava ingorda fame d'oro.

Se'l Ciel v'ha dato più beata sorte,

Non sien quelle virtù, che tanto onoro,
Da le nova ricchezze oppresse e morte.

DELLA CASA.

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