Del mostruoso mondo; O sia che, non concesso a' nostri voti, (Ahi, voti lagrimosi indarno sparsi !) Giaccia tu in alto sonno Presso il Belléro "o antico favoloso, Donde, del monte alla merlata cima, La maestosa Visïon "I rimira. Volgi ora alle tue sponde, E voi, delfin, portate Del giovin le reliquie sventurate. Pastori sconsolati, Non più piangete, no, non più piangete: Cagion del vostro affanno, Licida non è morto, Estinto no, sebben nelle onde assorto Sotto l'azzurro acquoso pavimento. Benchè l'astro del dì dechini e cali, Fuor dell' onde più gai superna schiusa reggia Dell' albeggiante Aurora, Or altre selve ed altri fiumi ei mira, Ove di puro nettare stillanti Lava sue sacre chiome; E, di gioja e d'amor ricolmi e pieni Ode ora' il nuziale Alto ineffabil canto : Là de' giusti nel cielo Tra le solenni schiere Nella lor plenitudine raggianti, Licida, de' pastori Or più non duolsi lagrimoso il coro: Cosi' il rozzo Pastore Lungo gli amati fiumi Di flebile armonia, Flebile sì, ma pia, Mentre nel grigio ammanto coturnata Usciva queta la nascente Aurora; E pensoso, e soletto Di sua Dorica cetra più conforme Al varïato suono Mesto snodava il canto; E da ogni colle discendeva intanto E il gran pianeta d'occidente al lido Calava i raggi nell'acquoso nido: Poi su l' usata erbetta, Innanzi la diman, con passi grati Sen venne ad altre selve, e a nuovi prati. FINE DEL LICIDA. T. M. Aprile, 1812. D |