Imágenes de páginas
PDF
EPUB

Noi pur così lodar possiam; ma quelli
Trovan più fe. Se un istrïon le parti
O di moglie o di Taide, o dell' incolta
-Dori sostiene, altri ti par che meglio
Di lui non giunga a trasformarsi. E in fatti
Vera femmina appar colui che ascolti,
Non l'attor mascherato: e oguun direbbe
Che nulla a lui di femminil non manca.
E pur Stratocle, Antioco, il delicato
Emo o Demetrio, al paragon de' Greci,
Mirabil non sarebbe. È per natura
Comica la nazion: ride, se ridi,
Con più forza di te: piange, se piangi;
Nè s'affligge però: se fuoco al verno
Dimandi tu, nel pelliccion si stringe;
Se del caldo ti lagni, avvampa e suda.
Dunque non siam del pari. Ognor vantaggio
Avrà chi può sempre il sembiante altrui
Notte e giorno imitar: chi può far sempre
Atti di meraviglia, e ognor si trova
Pronto a lodar qualunque sconcio e sozzo
Atto faccia l'amico. E poi qual saggia
Illibata famiglia ( un dissoluto

Greco se v'entra ) i puri suoi costumi
Conservar potrà mai? Massime, esempi,
Tutto in opera ei mette, onde ciascuno
E corrompa e seduca; e non rispetta
O l'innocente o la caduca etade.
Delle case a spïar studian gli arcani
Per farsi indi temer. Ma già che siamo

Et quoniam cæpit Græcorum mentio, transi
Gymnasia, atque audi'facinus majoris abollæ.
Stoicus occidit Baream, delator amicum,
Discipulumque senex, ripa nutritus in illa,
Ad quam Gorgonei delapsa est penna caballi.
Non est Romano cuiquam locus hic, ubi regnat
Protogenes aliquis, vel Diphilus, aut Erimanthus,
Qui gentis vitio, nunquam partitur amicum,
Solus habet. Nam, cum facilem stillavit in aurem
Exiguum de naturæ patriæque veneno,
Limine summoveor: perierunt tempora longi
Servitii: nusquam minor est jactura clientis.
Quod porro officium (ne nobis blandiar) aut quod
Pauperis hic meritum! si curet nocte togatus
Currere, cum Prætor lictorem-impellat, et ire
Præcipitem jubeat, dudum vigilantibus orbis,
Ne prior Albinam, aut Modiam collega salutet !
Divitis hic servi claudit latus ingenuorum

Filius: alter enim quantum in legione Tribuni

De' Greci a ragionar, scorri le scuole:
Odi a qual scelleraggine sian giunti
I più gravi fra lor. Barea innocente
Fu dal maestro suo, fu dall' amico
Accusato ed ucciso: ed era questo
Vecchio esemplar, Stoico severo, e nato
Là dove un' ala al Pegaseo si franse.
Per qualunque Roman loco non resta
Dove in credito sia qualche Erimanto,
O Difilo o Protogene, che mai
(Vizio di sua nazion ) con chicchessia
Non divide l'amico, e sel conserva
Tutto per se. Sol ch'un di loro alquanto
Del suo veleno e di sua patria instilli
D'un buon uom nell' orecchio; eccomi escluso
Di quella casa: ecco gettati i lunghi

Servizi miei; che il perdere un seguace

In nessun luogo importa men che in Roma.
E poi (non ci aduliam) qual merto mai
D'un pover uom l'ufficiosa cura
Aver potrà, nel prevenir togato,
Trottando il dì; se, risvegliati appena
Quei che eredi non han, sino il Pretore
I suoi littori a rompicollo affretta,
Perchè prima di lui Modia ed Albina
Il suo collega a salutar non giunga.

Il povero qui dee, benchè d' onesto
Libero padre ei nasca, andar del ricco
Servo a sinistra: e sai perchè? Costui
Quanto ha di paga un militar Tribuno

Accipiunt, donat Calvinæ, vel Catience,

at tu,

Cum tibi vestiti facies scorti placet, hæres,
Et dubitas alta Chionem deducere sella.

Da testem Romæ tam sanctum, quam fuit hospes Numinis Idei; procedat vel Numa, vel qui Servavit trepidam flagranti ex æde Minervam. Protinus ad censum, de moribus ultima fiet Quæstio: quot pascit servos, quot possidet agri Jugera, quam multa magnaque paropside cœnat! Quantum quisque sua nummorum servat in arca› Tantum habet et fidei: jures licet et Samothracum, Et nostrorum aras, contemnere fulmina pauper Creditur, atque Deos, Diis ignoscentibus ipsis.

Quid, quod materiam præbet, causasque jocorum Omnibus hic idem, si fæda et scissa lacerna, Si toga sordidula est, et rupta calceus alter Pelle patet; vel si consuto vulnere crassum, Atque recens linum ostendit non una cicatrix}

Nil habet infelix paupertas durius in se,

Dà a Calvina e Caziena, onde ei ne sia
Cortesemente accolto: e tu, meschino;
Se il volto mai di pubblica fanciulla,
Acconcia alquanto, al gusto tuo s'adatta;
Dubitando t' arresti, e irresoluto

Una Chione non osi a far che scenda
Dall' alta sedia ove s' espone in mostra.
Produci in Roma un testimonio, e sia
Santo così, qual della madre Idea
L'ospite fu: sia Numa pur, sia quello
Per cui salvata Pallade tremante

Fu dal tempio che ardea; sarà la prima
Su le ricchezze sue, l'ultima inchiesta
Su i costumi sarà. Quanti nutrisce
Servi costui! Quanto terren possiede?
Con quale a mensa argenteria si tratta!
Quanto ha ciascun di capitale in cassa,
Tanto credito ottien. Giuri su l' are
De' nostri pur, de' samotraci Dei,
Credesi ognor che il povero si rida
De' fulmini del cielo, e che gl' istessi
Numi facciano i sordi a' suoi spergiuri.

Il pover uom sempre agli scherzi altrui
Dà materia e cagione; o se macchiato
E lacero ha il mantello, o se sporchetta
È la sua toga, o se una scarpa a sorte
Se gli sdruci da un canto, o se di qualche
Ferita sua mal ricucita il nuovo

E grosso fil le cicatrici accusa.

Non ha la povertà miseria alcuna

« AnteriorContinuar »